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NormativeContratti di locazione agevolati, scaduta la prorogra si rinnovano tacitamente

Contratti di locazione agevolati, scaduta la prorogra si rinnovano tacitamente

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Lo ha stabilito una sentenza del Tribunale di Torino

Scaduta la proroga biennale, nell’inerzia delle parti, i contratti di locazione agevolati si rinnovano ogni volta tacitamente per un ulteriore biennio. Lo ha stabilito il Tribunale di Torino con sentenza del 7 dicembre 2020, n. 4349 (a disposizione dei soci), così massimata: In tema di locazione abitativa a canone agevolato (o concordato), al termine della proroga biennale – prevista «di diritto» per il caso in cui le parti, alla prima scadenza del contratto, non concordino sul rinnovo del medesimo – ove manchi la comunicazione di disdetta, da effettuarsi a cura di ciascun contraente nei termini previsti dalla normativa ad hoc dettata, il contratto locativo deve intendersi tacitamente rinnovato, a ciascuna scadenza, per un ulteriore biennio; il tutto giusta il disposto dell’art. 19-bis del d.l. n. 34/2019 (c.d. decreto Crescita) che, integrando l’art. 2, comma 5, ultimo periodo, della l. n. 431/1998, ne precisa così il significato quanto alla previsione del tacito rinnovo «alle medesime condizioni».

La quaestio si basava sulla richiesta promossa dalla locatrice sottesa a far accertare e dichiarare la risoluzione, per finita locazione, del contratto di affitto dalla medesima in precedenza stipulato con la conduttrice convenuta ex art. 2, comma 3, della l. n. 431/1998, con condanna di quest’ultima al rilascio dell’immobile locato libero da persone e cose, con fissazione del termine minimo di legge per il relativo rilascio. Il Tribunale di Torino, era stato adito, quindi, per stabilire l’effettiva durata dei rinnovi tacitamente verificatisi successivamente alla scadenza della prima proroga contrattuale, come previsto dalla normativa per i contratti di locazione a canone agevolato (o concordato).

Proroga biennale al termine dei primi tre anni canonici di durata

Nello specifico, veniva rimesso all’autorità giudiziaria il compito di accertare l’avvenuta scadenza o meno dei termini di validità del contratto locativo oggetto d’esame. Il tutto tenendo conto che il medesimo, rientrante fra quelli di cui all’art. 2, comma3, della l. n. 431/1998, prevedeva innanzitutto (al comma 5 della citata legge) una proroga biennale, al termine dei primi tre anni canonici di durata, e successivamente, per il caso di inerzia delle parti, un tacito rinnovo «alle medesime condizioni».

Una locuzione, quest’ultima, che, per la sua ambiguità, non consentiva alle parti di stabilire con certezza se il contratto de quo (già più volte tacitamente rinnovatosi essendo scaduta la prima proroga biennale) potesse definirsi o meno ancora valido ed efficace, non essendovi infatti chiarezza alcuna, in proposito, circa la durata (nel caso di specie, biennale o quinquennale) di ciascun tacito rinnovo verificatosi.

Il Tribunale di Torino ha ritenuto fondata l’istanza presentata dalla locatrice – e, quindi, potersi dichiarare risolto tra le parti il contratto per finita locazione, con il conseguente rilascio dell’immobile, a cura della convenuta, libero da persone e cose – in quanto era stata riscontrata l’intervenuta scadenza dell’ultimo rinnovo contrattuale, tacitamente verificatosi al pari dei precedenti, a seguito del naturale decorso del primo biennio di proroga prevista ex lege per i contratti agevolati (o concordati).

Nel merito, il Giudicante ha osservato che il tacito rinnovo del contratto di locazione (stipulato tra le parti originarie a canone agevolato e successivo alla prima scadenza della anzidetta proroga, deve intendersi avente ogni volta durata solo biennale. E ciò alla luce del combinato disposto degli artt. 2, comma 5, della l. n. 431/1998 e 19-bis del d.l. n. 34/2019 (quest’ultimo poi convertito nella l. n.58/2019).

Il contratto si rinnoverebbe per via tacita

Nello specifico, la prima disposizione infra richiamata afferma, all’ultimo capoverso, che, qualora le parti (scadendo il periodo di proroga biennale) non dovessero per tempo attivarsi né per l’esercizio della facoltà di disdetta né per il rinnovo della locazione a nuove condizioni, il relativo contratto si rinnoverebbe automaticamente per via tacita «alle medesime condizioni».

In proposito, l’art. 19-bis del sopra citato decreto Crescita, nel tentativo di chiarire in via definitiva il significato di questa confusa espressione, ha quindi precisato che il menzionato tacito rinnovo deve intendersi, ad ogni scadenza, «di un ulteriore biennio». Da quanto sopra, emerge dunque che il contratto di locazione concordato oggetto di vertenza (una volta scaduta la prima durata triennale e la conseguente proroga biennale) doveva ritenersi tacitamente rinnovato, nell’inerzia degli interessati, di due anni per volta.

E ciò fino all’ultima scadenza debitamente indicata dall’attrice, la quale, come dimostrato agli atti, aveva quindi provveduto ad interromperne definitivamente l’automatica rinnovazione mediante apposita comunicazione all’uopo inviata alla conduttrice nel rispetto dei modi e dei termini di cui alle succitate disposizioni normative. Per l’organo giudicante, pertanto, prive di fondamento sono risultate alcune osservazioni avanzate per contro dalla parte convenuta a sostegno delle proprie ragioni.

Le osservazioni avanzate per contro dalla parte convenuta

Tra queste, innanzitutto, il fatto per cui il rinnovo del contratto di affitto (successivo alla scadenza del primo biennio di proroga) avrebbe dovuto intendersi ogni volta quinquennale e non biennale; e ciò per l’asserita impossibilità di applicare, con effetto retroattivo, il citato art. 19-bis ad una locazione (quale quella oggetto di causa) iniziata in data anteriore all’emanazione del richiamato provvedimento. Una situazione, quella ora descritta, che avrebbe perciò reso il contratto locativo in argomento interpretabile alla stregua della sola normativa codicistica di cui agli artt. 1362 ss. c.c.

Sul punto, il giudice torinese ha ribadito che la validità dell’art. 19-bis (e la sua applicabilità al contratto in esame) non può essere messa in discussione e deriva dal fatto che la detta disposizione «integra ed interpreta ma non sostituisce l’art. 2, comma 5, della l. n. 431/1998 limitandosi a precisare il significato della locuzione alle medesime condizioni». In altre parole, la menzionata norma non ha comportato alcuna modifica, con efficacia retroattiva, della l.n. 431/1998, ma si limita semplicemente a chiarirne la portata.

E in ciò essa ha tradotto in pratica una facoltà che, come ha sottolineato (a titolo rafforzativo) il giudice di merito, la stessa giurisprudenza costituzionale ha più volte in passato già confermato in capo al legislatore.

Ovvero, questi ha la possibilità di «adottare norme che precisino il significato di altre disposizioni legislative non solo quando sussista una situazione di incertezza nell’applicazione del diritto o vi siano contrasti giurisprudenziali, ma anche in presenza di un indirizzo omogeneo, quando la scelta imposta dalla legge rientri tra le pos- sibili varianti di senso del testo originario, con ciò vincolando un significato ascrivibile alla norma anteriore».

Da ciò deriva, per l’organo giudicante, che l’art. 19-bis del c.d. decreto Crescita avrebbe potuto dirsi illegittimo, nel caso di specie, solo qualora non avesse imposto (come invece è avvenuto) «una scelta rientrante tra le possibili varianti di senso del testo originario» della legge in materia locativa.

A cura dell’avv. VINCENZO CARNEVALE, consulente ARPE
Tratto dal bimestrale ‘La proprietà edilizia‘, numero di Settembre/Ottobre 2021

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